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L'arte democratica di CLET

Come vedi la scena della Street Art oggi nel mondo e in Italia?

Penso che la Street Art sia il movimento artistico preponderante oggi perché racconta la nostra epoca.



Quali esperienze del tuo passato hanno influenzato le tue opere?

Ho fatto un percorso classico, studiando all’Accademia di Belle Arti. Sono cresciuto con l’amore verso l’arte figurativa e narrativa. Essendo sempre stato molto indipendente e autonomo spesso riscontravo delle difficoltà economiche e l’assenza di spettatori. Così mi sono reso conto che l’unico pubblico che potevo avere era la strada. Da lì sono arrivato alla Street Art. In quel momento avevo già preparato un lavoro sui cartelli stradali quindi avevo sia il soggetto che la motivazione ed ero pronto per uscire a lavorare. Presto ho capito che l’arte rappresentava per me l’unico modo per potermi sentire veramente libero nella società.  



Tuo padre, Jean-Pierre Abraham, era uno scrittore apprezzato in patria. Hai avuto delle influenze legate all’attività del padre?

Sicuramente, perché nella mia famiglia l’arte è sempre stata presente. Sono diventato un artista per la mia educazione e per l’aria che si respirava a casa. Anche mia mamma ha avuto esperienze lavorative di svariato tipo, passando da fare l’infermiera nel reparto psichiatria ad avere un allevamento di capre. I miei genitori sono sempre stati delle persone molto avventurose, basti pensare al fatto che, quando mio padre faceva il guardiano di un faro, abbiamo vissuto per tre anni su un’isola deserta. Mi hanno insegnato a seguire le proprie passioni nella vita, trasmettendomi anche l’amore di vivere in posti diversi.



Anche in Italia sei vissuto in posti diversi. Arrivato negli anni Novanta, hai vissuto prima a Roma, poi in provincia di Arezzo e solo dopo a Firenze.

Sì, prima non rimanevo mai per tanto tempo nello stesso posto. Infatti, Firenze è la città dove sono rimasto più a lungo nella mia vita e perciò devo dire che non ne posso più. Sono troppo curioso di spostarmi e vedere posti nuovi. Però Firenze è stata fondamentale per il mio lavoro sui cartelli stradali, che è nato proprio qui. Quando sono arrivato ho visto che Firenze, vantandosi del suo patrimonio artistico, vietava qualsiasi intervento ai giovani perché non sarebbero mai stati all’altezza. Avendo visto i numerosi cartelli stradali, vera contraddizione all’estetica rinascimentale, dentro di me è nata una sfida che non potevo ignorare.



L’atto di denuncia nelle tue opere è rivolto verso il mondo in un modo universale o è strettamente legato al territorio dove posizioni l’opera?

È assolutamente universale, ma purtroppo non è applicabile in tutti i paesi, perché in alcuni i rischi sono troppo grossi. Parlo dei paesi arabi, della Russia, della Cina e del Giappone… In quest’ultima nazione le cose sono andate malissimo. Ero già tornato in Italia quando scoprii che la mia compagna, che si trovava ancora lì, era stata arrestata perché considerata complice del mio lavoro. Il processo è durato a lungo ed oggi si è trasformato in un ricordo doloroso.

Tante tue opere, come il Cristo crocifisso applicato sul cartello di un vicolo cieco o L’uomo comune, sono state molto discusse dalla società. Quali tuoi lavori ritieni più significativi sul piano sociologico? 

Il lavoro sui cartelli stradali, simbolo di autorità che tendo a rimettere in questione. Un cartello stradale rappresenta l’estensione di un poliziotto, ti dà un ordine a cui devi immediatamente obbedire. Nel mio lavoro rifletto sulla libertà repressa dell’individuo nel mondo. In un paese libero uno dovrebbe avere il diritto di disobbedire. Ritengo il mio lavoro sui cartelli stradali importante anche per il miglioramento della loro funzione. Grazie alla mia sticket art le persone fanno più caso ai cartelli, li guardano di più. Infine crea un rapporto di simpatia, invece di rappresentare solo un rifiuto e la severità.



Quali sono i tuoi obbiettivi che hai già raggiunto tramite la tua arte e che vorresti raggiungere in futuro?

Ho un riconoscimento popolare che mi permette di crescere, ma vorrei arrivare ad un riconoscimento ufficiale del mio lavoro invece di essere solo condannato. Per esempio, in questi giorni ho preso una multa ad Amsterdam, in una città considerata libera per l’espressione. Inizialmente i cartelli stradali sono stati fatti in modo da essere capibili velocemente, ma oggi bisogna rallentare. Prima la velocità significava una vittoria e una gloria, ma oggi non è più così. Ci sono troppi incidenti, troppi morti. Il mio lavoro è un’occasione per rallentare, per soffermarsi a guardare e per stare più attento ai cartelli stradali. Rifletto molto sulla sicurezza stradale, infatti vorrei che le autorità, invece di vedermi come un vandalo, capissero che in realtà sono il contrario. Vandalismo vuol dire distruggere qualcosa per il piacere di distruggere, mentre io costruisco. È una conquista lenta e faticosa, ma sto facendo dei piccoli passi. Per esempio, sono entrato nella collezione museale al Museo d’arte Urbana di Parigi, in cui faccio parte della collezione permanente.

Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente ispirato?

Pieter Bruegel.

È una risposta molto inaspettata!

Capisco, ma la lezione di Bruegel sull’arte e sulla sua essenza è stata veramente fondamentale per me. Il pittore fiammingo raccontava la Bibbia alla gente che non sapeva leggere, spiegando in tal modo a loro i soggetti e la narrazione dei quadri del tempo. Il suo esempio mi è servito per capire che per me l’arte è comunicazione. Anche io vorrei che la mia produzione fosse comprensibile a tutti, riuscendo in tal modo a creare nuovi legami e modi di comunicazione.