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L'arte come eco ambientale: cinque artiste per Biennale Donna

A Ferrara si respira arte ecologica: parliamo della Biennale Donna, giunta ormai alla sua XIX edizione e ospitata quest’anno dal PAC-Padiglione d’Arte Contemporanea, fruibile fino al 29 maggio 2022.


Anaïs Tondeur, Pètrichor ou l’odeur des terres de Neuilly-sur-Marne, 2017. Saint Denis, Collection dèpartementale d’art contemporain de la Seine-Saint-Denis. (c) Sara di Sabatino


L’esposizione è stata organizzata da UDI –Unione Donne in Italia e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Ferrara, grazie alla curatela di Silvia Cirelli e Catalina Golban.

L’appuntamento con la Biennale Donna, iniziato nel lontano 1984, nasce con lo scopo di celebrare ed esplorare il vasto bacino di ricerca all’interno del panorama artistico femminile, approfondendo temi legati a problematiche identitarie, geopolitiche, socioculturali e, come nell’ultima edizione, anche quelle ecologico-ambientali.

OUT OF TIME, ripartire dalla natura” si legge sulle locandine e all’entrata dello spazio espositivo, quasi da augurio alla simbiosi con l’ambiente che negli ultimi anni ha risentito fortemente del fattore antropico. L’origine internazionale delle artiste in mostra contribuisce ad amplificare il senso del tema, dandogli una sfaccettatura malleabile e universale.

Le cinque artiste, infatti, indagano l’argomento servendosi di differenti livelli di lettura, focalizzando in particolar modo l’attenzione sull’impatto ambientale e sociale contemporaneo. Nel panorama attuale, il binomio uomo-ambiente abita la quotidianità in maniera febbrile, sfruttando tutti i possibili canali di comunicazione, compresa l’espressione artistica, cercando  pertanto di spingerci ad agire prontamente a favore di un cambio di rotta netto.

Le opere all’interno del Padiglione sono da leggere come prese di posizione delle artiste che auspicano ad una rinnovata consapevolezza dello stare al mondo secondo due principi ideali: preservare, rispettare. La crisi ambientale odierna suggerisce un ripensamento costruttivo, un'alleanza con il contesto naturale che scardina l’uomo dalla sua posizione centrale e lo riposiziona a fianco a tutti gli elementi della natura, in perfetta sinergia con essi.

L’ambizione al rinnovato co-abitare vede nelle opere d’arte dei vettori di connessione sociale, enfatizzati sicuramente ricorrendo a linguaggi diversificati ed efficaci: installazioni, video, fotografie, suoni, che permettono al visitatore di sperimentare in prima persona e in maniera attiva, sentendosi parte integrante dell’opera d’arte.

Entriamo. L’esposizione si apre con le opere realizzate da Ragna Róbertsdóttir (Islanda, 1945), che spicca per il suo potente stile minimal unito alla matericità di elementi naturali che ricordano la sua terra.


Ragna Róbertsdóttir, Saltscape, 2018. (c) Persons Projects


Lava, pomice, rocce vulcaniche animano le sale del padiglione e, non a caso, l’opera più ampia occupa gran parte della parete all’entrata: un site specific realizzato servendosi di migliaia di granelli di lava, pazientemente fissati al muro seguendo un ideale disegno mentale. Avanzando, il rigore scientifico di Anaïs Tondeur (Francia, 1985) si mixa con studi geologici e oceanografici, mentre la portoghese Mónica De Miranda (Portogallo/Angola, 1976) sceglie di dare un taglio più antropologico alla sua ricerca: le installazioni che realizza narrano di processi identitari, “geografie emozionali” le definisce, portando alla ribalta gli effetti di un colonialismo violento sull’ambiente.


Anaïs Tondeur, Pètrichor ou l’odeur des terres de Neuilly-sur-Marne, 2017. Saint Denis, Collection dèpartementale d’art contemporain de la Seine-Saint-Denis. (c) Anaïs Tondeur


Esplicita poi è la denuncia della polacca Diana Lelonek (Polonia, 1988), che si focalizza sul problema della sovrapproduzione dell’uomo e le possibili vie di fuga da questa, guardando a soluzioni alternative di convivenza.


Mónica De Miranda, All that burns melts into air, 2020. Courtesy l’artista e Sabrina Amrani, Madrid. (c) Mónica De Miranda


La visita si conclude con il paesaggio sonoro che Christina Kubisch (Germania, 1948), nota esponente della sound art tedesca, ci propone di saggiare per comprendere l’inquinamento acustico silenzioso: mediante delle cuffie messe a disposizione del visitatore, è possibile udire il mondo acustico nascosto, quello delle onde elettromagnetiche che ci circondano.


Diana Lelonek, Ministry of the Environment overgrown by Central European mixed forest, 2017. Varsavia, Muzeum Warszawy. (c) Diana Lelonek


Il pubblico può muoversi intorno al groviglio caotico a suo piacimento, definendo dunque successioni di suoni e rumori sempre diversi, individuali da persona a persona. Sensibilizzare alle questioni ambientali è divenuto oggigiorno tassativo: che il mondo stia prendendo strade sbagliate ci è chiaro, ma tendenzialmente è come se ci stessimo abituando a questo rumore di fondo che, tutto sommato, è diventato familiare e sopportabile.

I mezzi di comunicazione sono più che mai essenziali per diffondere le conseguenze di tale crisi ambientale, e forse l’arte, fra campioni d’oceano e nuvole sonore, può cercare di lenirne le cicatrici.


Christina Kubisch, Cloud, 2019. Le Havre, Le Tetris. (c) Christina Kubisch



Sara Di Sabatino viene da un piccolo paese d’Abruzzo, sotto il Gran Sasso. Si specializza in Arti Visive presso l’Alma Mater di Bologna. Ha collaborato con una galleria d’arte a Ferrara, occupandosi dell’allestimento e catalogazione d’archivio. Nutre una spiccata passione per la scrittura, che concilia con musica alle orecchie e lunghe passeggiate in montagna. “Nomade per inclinazione”, ha svolto un anno di studio all’estero e parla fluentemente lo spagnolo e l’inglese.