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Quando intervistammo Marcello Scuffi

Inizialmente dipingeva figure sacre. Per quale motivo ha deciso poi di cambiare direzione rivolgendosi alle nature morte e ai paesaggi?

Da bambini facciamo le cose che pensiamo essere difficili, ma quando cresciamo ci accorgiamo che sono difficili per davvero. In più, a parte le grandi opere storiche, preferisco i dipinti che non hanno al loro interno figure umane. Mi mettono tristezza, mentre un paesaggio ben dipinto mi trasmette calma. Come anche una natura morta, che non è altro che una scena di vita.

Porto canale, 2020, olio su tela, 95x140 cm

Ha soggiornato a lungo a Bruxelles; quali effetti ha avuto sul suo lavoro questa esperienza?

Nel 1987 sono andato per la prima volta a Bruxelles insieme a mia moglie. Ci sono andato perché, mentre in Italia da pittore stavo vivendo un periodo buio, un mio amico ha organizzato per me un’importante mostra in Belgio, nella sede del Banco di Roma. La prima volta ho passato un mese e mezzo a Bruxelles, mentre la seconda volta ci sono andato per tre mesi per presenziare all’inaugurazione della mostra. L’esperienza all’estero mi è servita per inserirmi meglio nel mercato dell’arte e ha cambiato la mia posizione all’interno della scena artistica europea. Un altro fattore importante per la mia carriera è stato sicuramente l’incontro con il gallerista Orler nel 1996, che ha subito acquistato settanta dei miei quadri, raffiguranti le persiane rotte, compresi da pochi fino a quel momento.

Circo di periferia, 2020, olio su tela, 95x140

Nei suoi quadri ci sono molteplici richiami all’arte italiana tra Carrà, Rosai, Morandi, Sironi, De Chirico, ma anche all’arte di epoche lontane. Quali sono le sue fonti d'ispirazione?

Nelle mie opere c’è anche un forte richiamo all’Umanesimo, al Medioevo e alla tradizione pittorica toscana. In particolare, ho tratto ispirazione dagli affreschi che vedevo nelle chiese fin da piccolo. I capolavori dei classici italiani mi hanno insegnato ad essere un pittore tonale e tutt’oggi la maggior ispirazione per le scene marine con le barche proviene dagli accostamenti dei colori che osservavo nelle vesti degli apostoli.

Nelle sue opere s’intravede una patina di nostalgia, forse perché sono immagini provenienti da ricordi del passato?

Sì, i miei soggetti provengono da un periodo passato della mia vita. In questi dipinti, il tempo non appartiene più alla realtà, ma si trasforma in sogno. Non dipingo le cose che vedo, ma quelle che sento. I treni, i circhi, il mare sono tutti ricordi della mia infanzia. Il mare l’avevo visto solo alla televisione in bianco e nero e soltanto all’età di 14 anni lo vidi per la prima volta per davvero. Quella volta rimasi colpito e decisi di cominciare a dipingere. Devo ammettere che i miei primi tentativi non furono soddisfacenti. Poi, dopo il mio matrimonio, ho conosciuto Salvatore Magazzini, che abitava accanto a me, e insieme abbiamo dipinto un quadro: io due figure su una terrazza e lui il paesaggio intorno. È stato allora che ho iniziato a dipingere.

Deposito di vecchi treni, 2020, olio su tela, 95x140 cm

Cosa può dirci del suo percorso artistico da autodidatta?

Ho studiato tanto da casa, leggendo numerosi libri d’arte. Ponevo una particolare attenzione alla composizione, che per me è fondamentale nella costruzione della geometria del dipinto. Già nei quadri dei grandi maestri come in Una domenica pomeriggio all'isola della Grande-Jatte di Seurat notavo che ogni elemento è posto in un determinato punto del quadro e non potrebbe non esserci. Anche le mie opere, se si levasse un elemento qualsiasi, perderebbero l’armonia compositiva. L’ordine, come anche il disordine, fanno parte di me. Il disordine vitale lo compenso con l’ordine creato nei dipinti.

Fra le tante letture fatte negli anni, quali hanno maggiormente influenzato la sua ricerca artistica?

Oltre a numerosi libri di storia dell’arte, ho letto anche alcuni trattati sulla pittura, ma devo dire che sono risultati piuttosto inutili. Per esempio, ho imparato gli accostamenti dei colori ad olio, ma queste informazioni oggi non servono più. Adesso, dato le componenti chimiche e non più naturali, i colori ad olio sono diventati molto più semplici nella lavorazione e, oltre a reggere meglio la luce, possono anche essere mischiati fra loro. Nella mia ricerca ho spesso preferito l’olio e l’acquarello. Ho realizzato anche alcuni affreschi che, tramite la tecnica dello strappo, oggi si trovano in collezioni private. La potenza dell’affresco sta nel fatto di dipingere sull’intonaco fresco, su una superficie granulosa; una pittura che crea volume e perciò attira la mia attenzione.

Marcello Scuffi mentre dipinge, fonte foto: Comune di Quarrata - Ufficio stampa

Come vede la scena dell’arte contemporanea?

Già nel 1972, quando ho cominciato a fare il pittore, mi sono subito distinto da tutti gli altri artisti a me contemporanei. Mentre percorrevano l’arte informale e l’arte astratta, ho preferito continuare il percorso dell’arte tradizionale. Sono appassionato di artisti come Pollock e Burri ma a grandi linee sostengo che dopo la Merda d’artista di Manzoni non c’è più niente da inventare, è insuperabile dal punto di vista della provocazione.

Che conseguenze ha avuto l’attuale emergenza sanitaria sull’andamento della sua attività artistica?

Il gallerista che mi rappresenta non ha sentito gli effetti della pandemia, il nostro lavoro procede come prima. Ovviamente, questa situazione ha influenzato il calendario delle mie mostre, che sono state ridotte. Per quanto riguarda l’ispirazione, a me piace definirla piuttosto “voglia di lavorare”. Mentre dipingo sento il desiderio di andare avanti mescolarsi ad uno stato di esaltazione e di grazia. Dipingo tutti i giorni perché sostengo che bisogna lavorare sempre. Mi capita raramente di “staccare” la mente e anche in queste occasioni spesso trovo una fonte d’ispirazione. Non dipingo en plein air perché ho bisogno di silenzio e le persone o il rumore intorno mi distraggono.