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Renoir: il fanciullino dell'impressionismo

«Se non mi divertissi, non dipingerei affatto!» Renoir, uno dei pilastri dell’Impressionismo, spegne oggi centottantuno candeline ma, attraverso le sue tele gioiose, rimane il pittore fanciullino di un tempo.


Pierre-Auguste Renoir, La Grenouillère, 1869, olio su tela, Nationalmuseum, Stoccolma


«Il grazioso di Renoir, che è il grazioso spinto al massimo grado dell’artificialità, il grazioso per eccellenza, addirittura il grazioso impossibile, diventa prodigiosamente interessante»: son queste le parole del giovanissimo Aurier, noto critico d’arte della fin de siècle sul pittore limousin.

Renoir nasce infatti a Limoges, capoluogo del dipartimento francese dell’Alta Vienne, nella regione Nuova Aquitania, ma si trasferisce presto nella capitale all’età di appena tre anni. Fin da bambino asseconda la sua naturale inclinazione al fare artistico: oltre ad una voce armoniosa - il maestro di cappella Charles Gounaud desiderava entrasse nel coro dell’Opera national de Paris, tanto era la sua bravura - , il piccolo Renoir possiede uno spiccato talento nel disegno, che i genitori non tardano a sollecitare. Seppur di modeste origini, il padre investe i suoi risparmi nel materiale da disegno per il figlio, all’epoca ancora molto caro.

All’astro nascente di Pierre-Auguste si concede dunque una chance per affinare le doti artistiche, culminando nell’impiego presso una manifattura di porcellane, mestiere piuttosto redditizio: la bottega del Lèvy diventa per il giovane una fucina di idee e tecniche, spiccando sia nelle decorazioni floreali che in esecuzioni più complesse.

Purtroppo, a seguito della bancarotta della ditta, Renoir si vede costretto a ripensare i propri piani e si affilia al fratello nell’attività incisoria, dipingendo stoffe e ventagli. È proprio questo il periodo in cui gli si va chiarificando la volontà di diventare pittore, frequentando dapprima corsi serali e solo dopo iscrivendosi finalmente all’École des Beaux-Arts: qui inizia l’avventura impressionista di Renoir.

Cos’è l’impressionismo, gli stilemi adottati, i nomi più influenti sono ormai concetti saldi anche nelle menti di chi si accosta timidamente al mondo dell’arte per le prime volte. È per questo che sposteremo l'attenzione verso quel “fanciullino” che, all’interno del cospicuo gruppo di pietre miliari impressioniste, ha saputo lasciare il segno e anche una ventata di freschezza. Renoir è il pittore della joie de vivre, «sposarsi alla folla è la sua passione e professione», il perfetto flaneur baudleriano talmente innamorato della vita, da alimentarsi con l’energia urbana frenetica e spesso disturbante, senza perdere mai di vista il suo ruolo di ineccepibile osservatore.

Il decalogo impressionista conta in primis il rifiuto dell’accademismo a favore di un’arte svincolata dalla grande peinture, che materializza sulla tela la consistenza fluida ed effimera della luce che si posa sulle cose, spostando quindi l’attenzione alla sensazione dell’attimo.

Il pittore francese aderisce in pieno all’ideale impressionista, proponendo una lettura soggettiva e alternativa del mondo circostante, decidendo di ambientare la maggior parte della sua produzione nella fitta realtà urbana, declinando dunque una fetta della società: scorgiamo così cafè letterari come il Café Guerbois, luogo di ritrovo per gli artisti e proprio per questo spesso animati da accese discussioni; terrazze in festa, locali notturni affollati dalla borghesia, ma anche paesaggi più mesti e naturalistici, come gli incontri a riva della Senna.

Dipingere diventa pertanto imperativo per lodare la convivialità e la spensieratezza di soggetti reali e quotidiani come i canottieri che sono a colazione, o le bagnanti nell’attimo di intimità più pura.


Pierre-Auguste Renoir, La colazione dei canottieri, 1880-1881, olio su tela, Philips Collection, Washington


Seppur contiamo un breve periodo di ispirazione rinascimentale - il così detto periodo aigre - in cui Renoir ricorre ad una pennellata più pulita ed incisiva e i soggetti tornano ad essere più classicheggianti, abbiamo impresse nella mente le cartoline gioiose del “Bal au Moulin de la Galette” o “La Grenouillère”, forti di colori sgargianti e pennellate luminose, vive come i protagonisti ritratti.


Pierre-Auguste Renoir, Baul au moulin de la Galette, colore ad olio, 1876, Museo d'Orsay


Forse debitore di quell’apprendistato come porcellanista, Renoir conserva per tutta la sua carriera di artista un tratto riconoscibile e delicato, dettagliato ma non per questo pesante, anzi leggero ed elegante proprio come porcellane. Durante i suoi ultimi anni, indebolito dalla malattia che l’avrebbe invalidato soprattutto alle mani, l'artista si aggrappa all’arte a tal punto che, secondo i racconti, si fece legare i pennelli ai polsi pur di assecondare l’insaziabile voglia di dipingere. «É davvero un caso paradossale e sconcertante, quello di questo pittore, candido come un fanciullo, eppure tanto complesso ...»

Buon Compleanno, Renoir.




Sara Di Sabatino viene da un piccolo paese d’Abruzzo, sotto il Gran Sasso. Si specializza in Arti Visive presso l’Alma Mater di Bologna. Ha collaborato con una galleria d’arte a Ferrara, occupandosi dell’allestimento e catalogazione d’archivio. Nutre una spiccata passione per la scrittura, che concilia con musica alle orecchie e lunghe passeggiate in montagna. “Nomade per inclinazione”, ha svolto un anno di studio all’estero e parla fluentemente lo spagnolo e l’inglese.