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Riccardo Guarneri: lo spirito della geometria tra musica e pittura

Com’è iniziata la sua passione per l’arte?

I miei studi iniziali si sono svolti nelle mura di un liceo scientifico. Presto ho capito di essermi appassionato alla musica e perciò ho iniziato a suonare la chitarra e il contrabbasso. Per dodici anni ho lavorato in un’orchestra che mi ha permesso di visitare diversi paesi europei. Mi ricordo ancora quanto rimasi colpito dalla luce fredda e cristallina dei paesi del Nord, che poi ho rappresentato nei quadri che si riferiscono a Rembrandt. Erano ancora dipinti scuri, che poi negli anni si sono schiariti, talvolta accompagnati da scritte. Durante i miei viaggi ho conosciuto per caso diversi pittori e poi, tornato a Firenze, ho iniziato a studiare la pittura con due allievi dell’Accademia di Belle Arti. Mi ero appassionato così tanto alla pittura da decidere di abbandonare gli studi musicali. Analizzando la mia vita capisco le motivazioni che mi avevano spinto a scegliere la musica, mentre la pittura ha scelto me, come avviene in un rapporto amoroso. Mi ricordo che gli anni Sessanta erano molto stimolanti per un artista e perciò ho intrapreso diverse amicizie con i pittori, unendomi ad un gruppo di Genova chiamato Tempo tre guidato dal critico Eugenio Battisti. Altre mie amicizie erano soprattutto a Milano e a Roma, dove andavo con la mia Fiat Cinquecento e passavo le giornate a discutere di avanguardia e dei problemi legati alla pittura. Portavo alcuni miei quadri per poi scambiarli con opere dei miei amici.


Guarneri nello studio di piazza Savonarola a Firenze negli anni Ottanta


In quel periodo quali pittori sono entrati a far parte della sua collezione?

C’erano quadri di Bonalumi, Castellani, Scheggi e molti altri; dipinti figurativi no, perché la mia attenzione era rivolta verso la direzione dove andava la storia dell'arte contemporanea, ovvero verso le avanguardie.


Come nasce una sua opera?

Lavoro con un metodo di variazioni, mi considero un bachiano nel senso musicale del termine. Procedo sempre per varianti, anche minime, che poi costituiscono un percorso artistico con le relative differenziazioni nei miei periodi. Infatti, se si guarda un mio quadro di cinquanta anni fa, si noterà che è ben diverso da quelli recenti. Ciò che conta sono l’originalità e la preparazione culturale che formano la visione dell’artista. Ho sempre assorbito gli spunti ispirativi che giravano intorno a me e per questo motivo, quando insegnavo all’Accademia di Belle Arti, chiedevo ai miei studenti di fare la stessa cosa e di studiare diverse correnti artistiche, anche se non coincidevano con il loro percorso di studio.


Musicalità ritmica, cm 120 x 95, 2020


Riflettendo sul ruolo della geometria nell’arte, ha approfondito il percorso di Josef Albers, ammettendo: «Per me Albers era troppo logico, geometrico, io preferivo essere più ambiguo, non avevo la sua fede nella forma pura, venivo dell’esistenzialismo».

Infatti i miei quadri non sono basati sulla fede nel quadrato e nelle mie opere non esistono linee perfettamente verticali. Le mie sono linee libere che Albers o Mondrian non avrebbero mai ammesso. Gli angoli geometrici, anziché essere di novanta gradi, sono di ottantasei e tutto tende ad espandersi verso l’infinito, senza che l’opera abbia confini. Credo che ogni artista debba avere una personalità in cui si rispecchiano la sua filosofia e la sua sensibilità. 


Scrivere in rosa 2010 cm77x56 olio su carta


Vista la lunga riflessione che accompagna le sue opere, quando capisce che un quadro è finito?

È una bella domanda perché è veramente molto difficile. Innanzitutto dipingo solo nella prima metà della giornata quando la luce del sole è fredda. Nel pomeriggio entra in gioco una luce calda che non sopporto. Il lavoro però prosegue anche nella seconda metà della giornata, in cui passo tantissimo tempo ad osservare l’opera. Prima di completare un quadro, accompagno la mia riflessione con diversi bigliettini, dove appunto le modifiche da apportare. Spesso accanto ai dipinti nel mio studio si trovano foglietti con scritte come aumentare la linea verde. La riflessione sull’aggiunta di ulteriori linee è uguale all’operazione che compie uno scrittore quando scrive un libro. Anche il quadro va letto, non solo visto. Nel momento in cui il pittore si ferma e decide che il quadro è completato compie una scelta drammatica. Per alcuni artisti è una scelta che determina se il quadro sarà un capolavoro o non varrà nulla. Nel caso in cui il quadro non valga nulla, di solito un artista dotato di un senso critico se ne accorge. Quando questa sensazione capita a me, ho due opzioni: distruggere il dipinto oppure continuare ad andare avanti. Provo sempre a rimediare, non abbandono la lavorazione di un’opera se la ritengo non perfetta. Forse è per quest’attenzione che dedico ad ogni singola opera che ne produco poche. La mia produzione conta al massimo venti quadri l’anno.


Che significato ha la pittura analitica per lei?

Generalmente il discorso sulla pittura analitica prevede una continua sperimentazione con i materiali, ma non sono d’accordo. Non ho mai cambiato i supporti, continuando a dipingere su tela. Per me un quadro deve essere percepito attraverso la pittura stessa. Come una variazione di un canone di Bach viene spiegata in termini musicali, anche la pittura viene spiegata in termini pittorici. La pittura analitica di Picasso e Braque è fatta sulla lezione di Cézanne con le pennellate sovrapposte che creano una vibrazione sulla superficie. Questo è un esempio della musicalità pittorica. Naturalmente, dietro questa vibrazione deve esserci la profondità del pensiero e anche lo spettatore deve avere una capacità di sentire l’opera per poter apprezzare un linguaggio nuovo. La pittura è prima di tutto pittura e la sua analisi è la musicalità stessa, che può essere anche il silenzio. Erroneamente l’arte analitica viene considerata come l’arte concettuale, che ormai è diventata una moda e perciò costituisce il lato negativo delle avanguardie. Infatti, nell’arte concettuale si tende verso l’annullamento dell’opera, mentre nel mio caso essa costituisce il centro dell’attenzione. Infine, per me, l’arte analitica è poesia e condivido il pensiero di Dante che vide l’arte come  “Amor che nella mente mi ragiona”. Un ragionamento continuo, ma svolto necessariamente con amore, costituisce per me l’essenza della pittura analitica.


Guarneri nello studio di via Campo d'Arrigo a Firenze nel 2016


Foto courtesy Riccardo Guarneri